Home › Forums › Discussioni Generali › STRUTTURE IN ACCIAIO ZINCATE E INFISSE NEL TERRENO
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17 Marzo 2024 at 19:36 #18381
Un collega ci ha formulato la seguente domanda:
“Buongiorno,
Mi occupo di impianti fotovoltaici a terra. Un aspetto sempre dibattuto con i Fornitori è quello della zincatura della parte interrata. Ad oggi loro fanno riferimento in genere alla categoria C3 da cui determinano lo spessore minimo di zincatura. In realtà la parte critica, visto che non si tratta di atmosfere aggressive, è a mio avviso il terreno perché non sono proprio sicuro che i terreni agricoli siano esenti da problemi visto che raramente si riesce a costruire la storia del sito. Non sempre troviamo acqua di falda in quanto la profondità di infissione si attesta mediamente intorno ai 2 m. Consultando le norme UNI e testi specifici, non mi pare di trovare una corrispondenza fra la classe di corrosività del terreno (la EN 12944 indica Im3) e spessori minimi di zincatura, bensì di verniciatura. Ad oggi, in via preliminare, faccio eseguire dei prelievi di campioni di terreno e misure di alcuni parametri (pH, resistività, solfiti, solfati, etc.), ma vorrei poi tradurli in prescrizioni progettuali.
Vi chiedo se potete suggerirmi un modo per fissare dei criteri da cui non derogare. Alcuni competitors fanno riferimento alla norma DIN 50929-2018 che però non mi pare di applicazione immediata”.
RISPOSTA
Buongiorno,
abbiamo girato il quesito a due esperti, rispettivamente, di zincatura a caldo e di verniciatura.
La prima risposta qui di seguito illustrata è dell’ing. Lello Pernice di AIZ – Associazione Italiana Zincatura, il quale ci ha detto:
“Il comportamento dello zinco e della zincatura nel suolo è complesso.
In genere, per valutare la corrosività di un terreno si misurano i parametri che sono citati nel quesito (pH, resistività, sali particolarmente aggressivi, aggiungo: l’ossigeno). La norma UNI EN ISO 14713-1 tratta il tema in maniera generica affermando che, comunque, in situazioni normali, nella maggior parte dei terreni non si superano i 10 micron anno di consumo del rivestimento.
Comunque, è esperienza comune che il punto più critico per lo sviluppo del processo corrosivo è nel punto di passaggio tra atmosfera e suolo. Infatti, lì si hanno le maggiori probabilità di presenza (molto superficiale) di sostanze inquinanti corrosive e, soprattutto, si innesca una pila per aerazione differenziale tra concentrazione di ossigeno in atmosfera e nel suolo. All’interfaccia lo zinco andrebbe protetto con una guaina di catrame quanto meno 20 cm fuori terra e 50 cm in profondità.
Qualora si ravvisino delle condizioni di particolare aggressività, potrebbe essere opportuno realizzare per tutta la zona interrata (sempre a partire da qualche decina di centimetri fuori terra) un sistema duplex con una vernice adatta”.
Il secondo parere è del dott. Fabio Favati, socio di una società di produzione di vernici, COLGOM VERNICI INDUSTRIALI di Firenze, esperto di cicli di verniciatura (fa consulenze per società d’ingegneria, studi professionali, etc.). Questa la sua risposta:
“La zincatura immersa nel terreno, se non adeguatamente protetta dalle correnti vaganti, è destinata ad essere consumata – sacrificarsi – nel tempo.
Classico esempio è la pinnetta di zinco che si trova nel gambo dei motori fuoribordo, sopra l’elica: al termine della stagione, a volte pure prima, si trova letteralmente mangiata per effetto della corrosione galvanica. Oltre alla problematica delle deiezioni, solide e liquide, dei cani.
Pertanto suggerisco un sistema duplex, zincatura e verniciatura.
Per la verniciatura, facendo riferimento alla ISO 12944-5: 2018 suggerisco, tanto per la parte “immersa” che per quella sopra linea terreno per almeno 40 cm:
– PRIMER EPOSSIDICO con funzione ancorante, spessore minimo 60 micron film secco
– PITTURA EPOSSI-IDROCARBONICA, colore nero, a basso tenore di solventi, spessore al netto della zincatura e del primer, almeno 300 micron.
Entrambi sono sistemi a due componenti.
Allego estratto norma e schede tecniche [scaricabili qui]”.
Come si può vedere, sia l’ing. Lello Pernice che il dott. Fabio Favati sono piuttosto cauti circa il problema, e sostanzialmente suggeriscono entrambi, per terreni abbastanza aggressivi, di impiegare un sistema duplex.
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