Architect, PhD Anna Dalla Valle
Politecnico di Milano, Department of Architecture, Built environment and Construction engineering, Milano, Italy
Il progetto “Metamorfosi” trasforma una struttura vincolata in un laboratorio di sperimentazione architettonica che incorpora l’esistente attraverso soluzioni tecnologico-costruttive innovative. La sinergia tra competenze professionali e accademiche, unita ad un utilizzo avanzato del BIM, permette di coniugare efficienza e sostenibilità nella ridefinizione delle forme dell’abitare, aprendo nuove prospettive per la riqualificazione edilizia.
CONCEPT: DA VINCOLO A OPPORTUNITÀ
DI SPERIMENTAZIONE
Il concetto di “metamorfosi” implica un processo di cambiamento radicale che interessa la forma, la funzione, la struttura e l’identità di un’entità. Per questo motivo è attribuito dai progettisti come appellativo di sintesi dell’intervento di ristrutturazione e ampliamento di un edificio ad uso residenziale situato in Sicilia. Qui la metamorfosi si manifesta attraverso l’interazione architettonica-strutturale e la coesistenza di questi due elementi complementari, che insieme modellano lo spazio e ridefiniscono il concetto stesso di abitare su una preesistenza. Si tratta infatti di un progetto sul costruito, in cui il processo di trasformazione ingloba e assorbe ciò che esisteva prima per fornire le basi per plasmare il nuovo.
In un contesto di riqualificazione di edifici abbandonati, frutto delle speculazioni edilizie che abitano il territorio italiano, la volontà è di prendere posizione di fronte ad esse: preservare la struttura esistente, il cosiddetto “scheletro”, per trasformarlo in nuove opportunità di sperimentazione spaziale. Data l’impossibilità normativa di intervenire con opere di demolizione e nuova costruzione, l’edificio preesistente poneva difatti dei vincoli normativi, sebbene di non particolare valore storico, culturale e architettonico (figura 2). L’intento progettuale è stato quindi di portarlo all’essenza per poi trasfigurarlo nel rispetto dei requisiti di ristrutturazione, che richiedevano di mantenere inalterati i volumi, l’altezza dell’edificio e la distanza tra i piani, senza nessuna elevazione aggiuntiva, e conservare la struttura portante originale. Lo scheletro ereditato, composto da travi e pilastri in calcestruzzo armato, è stato spogliato delle sue partizioni interne, sia orizzontali sia verticali in muratura, per diventare una sorta di “gabbia” tridimensionale che supporta la metamorfosi (figura 3). La materia strutturale diventa così perno della trasformazione, elemento massivo di invarianza nella mutazione. Al contrario, la pelle dell’edificio viene interpretata come un elemento leggero variabile, che dichiara la sua presenza sotto forma di un nuovo volume che definisce lo spazio domestico, tramite l’applicazione di tecnologie a secco (figura 4). La metamorfosi ha luogo. Un sistema in acciaio ruotato di 45°, completato da una facciata ventilata rivestita da pannelli di rete metallica, si aggancia alla struttura esistente sfruttandone la funzione strutturale (figure 5-6-7). Esso non altera il volume complessivo, ma dichiara la sua autonomia estetica e funzionale generando, grazie alla rotazione della maglia strutturale e la creazione dell’unità residenziale in parte su pilotis, un nuovo spazio esterno protetto e indipendente (figura 8). […]
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