Cari Colleghi e Amici,
ringrazio innanzitutto il CTA per l’invito a scrivere l’editoriale di questo numero di Costruzioni Metalliche, rivista che rappresenta per tutti noi specialisti dell’acciaio un punto di riferimento consolidato.
Approfitto di questo spazio per alcune riflessioni che riguardano nello specifico il mondo della professione, nel quale opero oramai da più di vent’anni, ed il mondo delle costruzioni in generale: spero che mi perdoniate se queste riflessioni, per una volta, non sono focalizzate su progetti realizzati, su aspetti tecnici di dettaglio o sugli ultimi aggiornamenti normativi ma piuttosto su quello che in maniera più estesa riguarda la nostra categoria.
Viviamo una congiuntura eccezionale in cui si è sovrapposta la voglia di ripresa post-Covid (declinata attraverso interventi straordinari in ambito edilizio come il bonus 110%, oppure in quello infrastrutturale come il PNRR) al necessario e massiccio intervento di ristrutturazione e messa in sicurezza della rete stradale e ferroviaria nazionale. L’estemporaneità di alcuni provvedimenti unita ad una programmazione ambiziosa, per usare un eufemismo, di messa a terra di tali investimenti si è trasformata per il mondo dell’ingegneria strutturale in una vera e propria “valanga” di incarichi, gare e prestazioni progettuali da gestire e svolgere in “tempo zero”. Se aggiungiamo l’ennesima riforma del codice degli appalti e l’introduzione dell’obbligo della modalità BIM negli appalti pubblici, analizzando a mente fredda la situazione, ci rendiamo conto a quale Stress Test è stata sottoposta la categoria in questi ultimi anni.
La mia riflessione non è incentrata su queste criticità, che la nostra professione ciclicamente in forma più o meno acuta ci propone, ma piuttosto su quello che è il ruolo dell’Ingegneria e soprattutto dell’Ingegnere in questo delicato frangente e su quello che dovrà assumere nei prossimi anni. Dopo un decennio caratterizzato dalla scarsità di lavoro e dall’atteggiamento di prevaricazione che Committenze e imprese di costruzioni hanno esercitato sulla categoria (la quale non ha certo brillato per spirito di corpo o capacità di lobby), la figura dell’Ingegnere, in particolare lo strutturista, ha perso l’autorevolezza e la referenzialità che la società un tempo gli riconosceva. Sarebbe semplice sottolineare che a fronte di un incremento sempre maggiore dei contenuti progettuali e delle prestazioni richieste, del livello di responsabilità che viene delegata al progettista (a fronte spesso di input carenti per ragioni economiche e di tempistiche), del costo sempre maggiore della strumentazione tecnologica necessaria per lo sviluppo progettuale, a fronte di tutto questo non c’è stato alcun adeguamento del riconoscimento economico del tariffario progettuale. L’aspetto che a mio giudizio è la conseguenza più preoccupante dello svilimento professionale dell’Ingegnere è quello che in maniera provocatoria definisco “perdita di vocazione” nei nostri ragazzi: lo strutturista oramai è visto come un ruolo faticoso e scomodo, che richiede fra università e avvio della carriera lavorativa anni e anni di fatica intellettuale e stenti economici prima di ottenere qualche risultato tangibile. Tutti noi professionisti tocchiamo con mano ogni giorno questa significativo calo di laureati nel settore, nel preciso momento in cui sarebbe necessario strutturare gli organici non troviamo giovani risorse e nuove leve a cui trasmettere le nostre competenze, esperienze e soprattutto passione.
Questo editoriale non vuole avere una vena pessimistica, non è nelle mie corde, vuole bensì aprire una discussione con tutti gli stimati colleghi ed amici che compongono questa platea per individuare collegialmente una soluzione a quella che sarà la vera problematica e sfida dei prossimi anni. Spetta a noi professionisti trovare la via per restituire centralità alla nostra figura, in un mondo che inevitabilmente andrà sempre più verso l’informatizzazione del calcolo strutturale e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Tuttavia in questo percorso non dovremo tralasciare di infondere nei giovani futuri ingegneri la passione per la Professione più bella che possa esistere, quella capace di interpretare le forze della natura e rendere sicure le costruzioni anche nelle forme sempre più sfidanti che l’architettura contemporanea ci richiede.
Il ruolo dell’Ingegnere Strutturista, ed in particolare del Progettista dell’Acciaio, deve tornare ad attrarre i giovani studenti e lo potrà fare solo se saremo in grado di trasmettere l’entusiasmo che ci ha contraddistinto in questi anni, creando vere e proprie scuole di progettazione e rendendo l’Università sempre più permeabile e comunicante con l’ambito lavorativo. Anche le associazioni di categoria dovranno farsi promotrici di questa spinta promozionale soprattutto nei confronti del legislatore, per far comprendere che la “centralità del progetto” non è solo uno slogan da sventolare ad ogni riforma del codice appalti bensì un obbiettivo cruciale per assicurare la riuscita dello sforzo di ammodernamento in corso nel nostro paese: solo accompagnando con il dovuto riconoscimento economico lo sforzo formativo richiesto all’Ingegnere Strutturista per gestire la complessità dei progetti riusciremo a far tornare attrattiva alle nuove leve la nostra Professione!
Il contributo che questa rivista fornisce alla causa è importante, insieme alle molteplici attività formative e congressuali organizzate, ma servirà aumentare lo sforzo divulgativo in tutti gli ambiti possibili per far sì che la progettazione delle strutture in acciaio abbia il risalto che merita fra le discipline professionali. Con la speranza di poter ritagliare uno spazio di confronto su queste cruciali tematiche anche al prossimo Congresso CTA, rivolgo a tutti un caro saluto.